Brand Positioning for dummies - Trentino Social Tank
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Brand Positioning for dummies

LA TUA COMUNICAZIONE E’ RICONOSCIBILE?

Difficile trovare oggi qualche professionista (dipendente o free lance) che in qualche modo non sia entrato in contatto con il digital e di conseguenza con la necessità di comunicare il proprio lavoro.

Visibilità vs Invisibilità

Il modo in cui comunichiamo è un elemento fondamentale perché ci rende “visibili” o “invisibili” nell’infosfera digitale: se il contenuto che creiamo è poco centrato su ciò che facciamo, sul nostro pubblico e sui valori che lo supportano (il brand), se ci aggiungiamo che lo comunichiamo in modo disordinato e poco disciplinato, il risultato è molto spesso l’invisibilità: dal disordine e dalla poca cura delle impressioni che diamo all’esterno deriva il pericolo di essere classificati male e danneggiare la nostra reputazione.
Se guardassimo a quello che abbiamo pubblicato fino ad oggi su Facebook, Linkedin o il nostro blog, cosa penseremmo di noi? Per rispondere basterebbe fare una veloce verifica sulla nostra comunicazione fatta nell’ultimo anno chiedendoci, nello specifico, a chi ci siamo rivolti, se abbiamo pensato più a noi stessi o al pubblico e centrando la comunicazione sui suoi bisogni. Inoltre, abbiamo cercato di creare contenuti interessanti rivolti ad un pubblico che potrebbe portarci lavoro e contatti? Seguendo questo percorso di semplici domande si va dritti al concetto di “posizionamento” (in inglese “brand positioning”), ossia a come viene “percepito” il nostro lavoro dal pubblico a cui ci rivolgiamo. 

Il Brand che…?

Non sono un esperto di personal brand e positioning, nel senso che non è mai stato oggetto di studio approfondito, ma mi trovo a scriverne in questo articolo perché è lui che si è “fatto vivo” con me lungo la costruzione della mia identità professionale digitale. Quindi non sono un esperto, sono il classico principiante che piano piano ha realizzato il percorso da fare e con mezzi propri si è messo a studiare e ad applicare. Hanno agito contemporaneamente diversi fattori nell’emersione di questa consapevolezza, dal contesto lavorativo a quello culturale (la rivoluzione digitale) e oggi quindi sono giunto alla conclusione che ci piaccia o no, che lo vogliamo o meno, se siamo dei liberi professionisti o dipendenti all’interno di un’azienda, abbiamo un brand.
Come libero professionista ho cominciato ad identificare e poi comunicare il mio brand in maniera meno disordinata per rendermi riconoscibile, accrescendo allo stesso tempo credibilità e reputazione; se fossi un dipendente, allo stesso modo, insieme ai colleghi metterei a fattor comune storie, competenze e successi, cosciente che è un potente strumento di Employer Branding, che aumenta la visibilità, credibilità e reputazione dell’azienda in cui lavoro e trasforma tutti i colleghi in perfetti Brand Ambassador.

Anche io sono un Brand Ambassador?

Ogni volta che una persona interagisce con noi, ci identifica come persona fisica ma anche come rappresentante di un brand aziendale, dove per azienda intendo anche la “me spa”. Siamo già tutti dei brand ambassador, anche se spesso inconsapevolmente. Spesso questo aspetto viene sottovalutato: pensiamo alla reception, il call center, chi risponde alle mail. Questi sono tutti punti di contatto tra l’azienda e il suo cliente. È importante che tutte le persone coinvolte siano allineate sui valori del brand e sulla tipologia di comunicazione. Una dipendente maleducato o inefficiente diventerà nella mente del suo interlocutore, per associazione di idee (il nostro cervello lavora così), sinonimo di un’azienda maleducata.

Quindi, come progettare la propria strategia di Professional Branding e creare un piano d’azione? Come essere Ambassador del proprio brand? Come spieghiamo quanto sappiamo fare bene il nostro mestiere a possibili clienti? Quali sono le cose che davvero contano per noi e per il nostro brand? Quali possono essere delle forti leve di aggregazione, i motivi per cui le persone si rivolgeranno a noi? Quali sono i temi, le parole chiave da poter utilizzare nella propria strategia di comunicazione?

Non rispondere a queste domande o farlo in maniera superficiale ci sottopone a due rischi, secondo me:

  1. il primo è il rischio di essere percepiti come “normale” quando dobbiamo comunicare chi siamo. La conseguenza di questa normalità è che l’unica differenza tra te e gli altri professionisti del tuo settore la fa il prezzo e di fatto diventare una “commodity” (l’energia elettrica che sta alimentando il tuo laptop è uguale che sia Enel o altro player a fornirtela, l’unica differenza sta nel prezzo). 
  2. Il secondo rischio dipende dal fatto che molti parlano e scrivono di tutto su quasi tutto, anche se spesso sono contenuti frutto più della sindrome Dunning-Kruger  che di reale competenza. Noi scriviamo e, facendolo, partecipiamo alla creazione di un “rumore digitale” di sottofondo da cui è difficile tirarsi fuori con una comunicazione normale: la battaglia per la visibilità digitale si combatte sui contenuti e sul modo di veicolarli. (rimando ad un bell’articolo di Davide Cardile su LINKIESTA per approfondire questo rischio:  LinkedIn: il futuro sarà esclusivo. Pochi clienti, super fan, meno contatti e più conversazioni)

LA domanda

Ma se dovessi identificare LA domanda dalla quale partire, dovendo affrontare il tema della modalità di comunicazione del proprio brand, non avrei esitazioni nel porre questa: a chi ti rivolgi quando comunichi? E sicuramente seguirebbe l’identificazione di un altro elemento chiave per la propria strategia comunicativa, ossia i tuoi valori: quali sono?
Questo perché attraverso l’identificazione dei valori “core” che vuoi portare avanti con il tuo lavoro, agisci anche su strutture archetipiche (sono 12) che ti permettono di raggiungere il pubblico a livello emozionale e non solo razionale, semplificando la comunicazione, in quanto lavorano sull’inconscio della persona,   aumentando l’incisività del brand a livello di digital communication. (consiglio la lettura di questo bel articolo di Lucia Vescovini per chiarire cosa sono e come funzionano le strutture archetipiche: Archetipi: come usarli nel marketing | Social media marketing)

Insomma, come tirarsi fuori da questo “rumore”?

È davvero complicato rispondere alle semplici domande che ci siamo posti lungo questo articolo, ma un principio, una visione da seguire per cercare delle risposte mi viene da una frase che ho letto nel bel libro di Bernadette Jiwa che ho letto questa primavera, Story Driven: “you don’t need to compete when you know who you are. When you have something to say, you don’t need to shout.”

In sostanza la tesi della Jiwa è che ognuno di noi – indipendentemente da dove siamo nati, da come siamo cresciuti, da quante sconfitte abbiamo sofferto o dai privilegi che ci sono stati concessi – è stato condizionato a competere per vincere. Ironia della sorte, le persone che creano vite e carriere appaganti – quelle che rispettiamo, ammiriamo e proviamo ad emulare – scelgono un percorso alternativo per il successo. Hanno un forte senso di identità. Non si preoccupano di differenziarsi dalla concorrenza o non sono ossessionati dal raccontare la storia giusta. Dicono invece la vera storia. Le organizzazioni di successo e le persone che creano, costruiscono e le guidano non sentono il bisogno di competere, perché sanno chi sono e non hanno paura di mostrarcelo.

 

Cominciamo a farlo anche noi “digital dummies”, allora (piccole partite iva piene di progetti, dipendenti o imprenditori in erba), comunicando in maniera diversa il nostro lavoro, le nostre passioni.

 

Trentino Social Tank organizza un workshop TST SPRINT giovedì 4 luglio dalle 18

per liberi professionisti, partite iva, social media manager, dipendenti e chiunque abbia la necessità di
definire una strategia di comunicazione

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Piergiorgio Lovato
Piergiorgio Lovato
Sono un Formatore Esperienziale con 10 anni di esperienza, sicuramente un facilitatore certificato LEGO®SERIOUS PLAY® method and materials. Mi occupo di persone e delle loro soft skills. Spesso mi capita di aiutare le persone a ridefinire il loro progetto professionale, ma solo perché ho dovuto farlo anch’io spesso lungo il mio percorso imparando da tentativi ed errori. Mi piace molto utilizzare il gioco, o meglio i “serious games”, per trasmettere e riflettere sui contenuti. Sono convinto che se non ti formi, ti fermi ed è per questo che sono un lettore ossessivo-compulsivo di siti di settore e consumatore abituale di workshop specifici per il mio lavoro. Alla base di tutto c’è una inesauribile curiosità per quasi tutto e per le persone che mi insegnano qualcosa (anche avvitare una lampadina).

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