E’ un’affermazione, ma il dubbio rimane, se è ancora vero (spero di no…) che “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” come si legge ne Il Gattopardo. Ogni legge nasce per colmare un’ingiustizia o per prevenirla. Più le leggi sono fondamentali, come la Costituzione o il codice civile, più sono semplici da comprendere perché se ne intuisce facilmente la ratio, il senso di fondo impresso dal legislatore. Ad esempio, la tassazione progressiva dei redditi è funzionale a colmare il più possibile le disuguaglianze: si può essere d’accordo oppure no, ma la ratio assunta dai nostri padri costituenti è facilmente comprensibile. Oppure, in campo aziendale, la legge che obbliga a dichiarare la ragione sociale e forma giuridica dell’impresa, ha lo scopo informare il creditore con chi dovrà reclamare in caso di mancato pagamento: la ratio di facilitare i commerci è facile da comprendere anche in questo caso. Più le leggi sono invece “provvisorie” più sono di difficile interpretazione. Se prendiamo ad esempio i mitici DPCM, come quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’ultimo 10 aprile, le diciannove leggi e provvedimenti in premessa non ne agevolano certamente la comprensione, tanto che l’attuazione necessita poi di ulteriori provvedimenti come le cinque diverse versioni dell’altrettanto mitica autocertificazione, naturalmente e rigorosamente da stampare, o se si preferisce copiare a mano (!!): è qui che entra in scena in modo prepotente ciò che tutti conosciamo come la “burocrazia”, parola che ha assunto, per i più, un’accezione negativa.
L’indice sulla qualità del governo (EQI) è la “misura” con cui la Commissione Europea monitora quanto i cittadini europei siano soddisfatti della macchina amministrativa del proprio territorio. L’ultima rilevazione, nel 2017, vedeva l’Italia al penultimo posto prima della Grecia. Nelle prime posizioni, con indici di quasi tre volte superiori al nostro, Finlandia e l’immancabile Olanda, paesi tra l’altro ai primi posti per accesso alle tecnologie dell’informazione. Se si approfondisce la lettura del rapporto – condotto dall’Università di Goteborg e sviluppato su base regionale – si scopre che, rispetto alla precedente rilevazione del 2013, i peggioramenti più significativi degli indici si sono evidenziati in Valle d’Aosta, Abruzzo e Piemonte, subito dopo la Guyana Francese. Il rapporto non indica le possibili ragioni del peggioramento, ma possiamo immaginare che sussidtano delle differenze anche nette tra una regione francese in Sudamerica e la ricca regione dell’Auvergne Rhône-Alpes. Faccio un inciso. La pubblica amministrazione francese presenta livelli di stratificazione non certo semplici – ci sono più di 35mila amministrazioni comunali, mentre in Italia sono meno di 8mila -, tanto che le barzellette sulla burocrazia stanno alla Francia come quelle sui Carabinieri stanno all’Italia. Ma tant’è: nel complesso i francesi sono soddisfatti del loro modello di governo il doppio di noi, anche in Guyana. Per quanto riguarda le tre regioni italiane, il calo degli indici in Valle d’Aosta e Piemonte forse centreranno con gli scandali sui rimborsi avvenuti proprio a cavallo di quegli anni, mentre per l’Abruzzo è probabile che la gestione farraginosa della ricostruzione post-terremoto del 2009 abbia influito non poco.
Personalmente, a scanso di equivoci, condivido la funzione che già Max Weber, nei suoi studi sulla pubblica amministrazione, assegnava alla burocrazia, ovvero la necessità che le leggi vengano applicate in modo astratto e imparziale. Ancora, per togliere il dubbio di una personale avversione alla pubblica amministrazione, il sano processo burocratico tutela il cittadino e l’impresa e non va confuso con la mala-burocrazia che invece è tutto ciò che allontana dalla ratio di una legge, dal volere del legislatore – dandone per scontato le buone intenzioni – o che dubita in modo preordinato delle ragioni del beneficiario di quella legge, attribuendogli, prima di ogni altra cosa, la patente di furbo o ladro. Oltre a ciò, la mala-burocrazia è alimentata dalla volontà di spogliarsi dalle responsabilità, intollerabile se praticata da un politico, ma non meno odiosa se perpetrata da un funzionario pubblico, che si scorda, in questo modo, della propria intima mission. Infine, sono convinto che non solo la burocrazia ma neanche la mala-burocrazia può essere associata, di per sé, alla corruzione, ma è altrettanto vero che tutti i casi di corruttela si manifestano nel tentativo di superare o eludere il processo burocratico: più questo è complicato o costoso, più la tentazione è forte!
La fase 2 dell’emergenza COVID-19, la ripartenza delle attività economiche in convivenza con il virus, sarà segnata dalla “messa a terra” di misure draconiane di sostegno all’impresa – e ciò non sarà molto diverso da quello che succede in un post-terremoto – promosse e volute dalla politica e che vedrà protagonista, accanto all’impresa, proprio la Pubblica Amministrazione che dovrà attuare processi burocratici. Se vogliamo che questa messa a terra avvenga nel minor tempo possibile e con il maggior beneficio per imprese e famiglie, è necessario che la burocrazia (dirigenti e funzionari della pubblica amministrazione: persone, mica macchine) ri-affermi la propria mission, ri-organizzandosi su principi di semplicità, velocità ed efficacia magari approfittando dell’inaspettata simpatia verso le tecnologie dell’informazione che le famiglie e le imprese stanno mostrando, come effetto positivo, in queste settimane di lockdown. E magari approfittarne per orientare anche il proprio linguaggio alla semplicità, spiegando perché è necessaria e utile quella procedura. Il mezzo disastro del portale INPS del 1° aprile prendiamolo come un incidente di percorso e non come il monito di ciò che ci aspetta!
Gli errori servono per imparare, l’importante è che nessuno (funzionari e imprenditori) si spogli delle proprie responsabilità perché, anche questa volta, solo insieme ce la faremo!